non é un paese per mamme

„Cosa ca**o ti lagni? Hai deliberatamente scelto tu di essere mamma. Ora non hai il diritto di fare la lamentatio e soprattutto non puoi pretendere un trattamento di favore; dopotutto sei stata a casa ben 4 mesi quando Leonardo é nato e non parliamo delle volte che manchi, perché è malato o ancora a causa delle millanta situazioni che si presentano giornalmente! E tu? Tu per stare dietro a tutto, manchi dall’ufficio. Chi deve fare le tue veci in quel caso? Dimmi! No, dimmi pure! Noi. Ovvio! Noi non „affigliate“ siamo sempre presenti al 100%! Mai un permesso speciale, mai manchiamo perché il pupo non dorme la notte, mai che dobbiamo fare tardi, perché il bambino piange e fa i capricci, perché non vuole rimanere al nido e ti fa fare tardi (tanto per cambiare) Chi ti verrà in aiuto „tappando i buchi“ e/o coprirti?“

Ci sono tante di quelle „stonature“, pensieri malati e affermazioni distorte in questo prestigioso monologo di una collega (sì, una donna), che non so nemmeno dove iniziare ad incazzarmi: Dunque, tu mi stai dicendo che sono una sconsiderata, perché avrei dovuto mettere in conto tutte le millanta variabili che nella vita ti si possono parare davanti, prima di fare un bambino? E come di grazia? Visto che possiedi le tavole della saggezza e della virtù, illuminami! Ah, e ovviamente, nel conto avrei anche dovuto mettere il fatto che se mio figlio si ammala, avrei lasciato “sole” per qualche giorno le mie colleghe, povere fragole. Personcine dedite al lavoro, che (NATURALMENTE) non hanno mai un contrattempo, mai la macchina in panne, una febbre (beate loro), un bega famigliare, il cane con la colite… Niente. E poi, gente, é risaputo, che una mamma va a farsi un giro ad Ibiza quando il proprio figlio è in balia, a ruota, di: mal di gola, naso che cola, starnuti, produzione industriale di muco, tosse e poi varicella, dolori della crescita… Il tutto con contorno di febbre, conati di vomito, dissenteria o (peggio) stipsi (forse peggio).

OKAY.

Già da bambina mi piacevano i bebè… Mi piaceva prendermene cura e cullarli. Mi prendevo cura di cuginetti/cuginette e di tutti i bimbi di amici vari. Ho sempre pensato di diventare mamma prima o poi, ma non avevo messo in conto che fosse stato più poi che prima. Sono diventata mamma a 38 anni. Una di quelle che in Italia chiamano amorevolmente „primipare attempata“. Proprio così! Però grazie al cielo, nonostante la mia veneranda età, e i vari trascorsi interventi, ho vissuto una gravidanza sorprendentemente tranquilla. Non ho sperimentato né sbalzi d’umore estremi, né bizzarre voglie come divorare una bella impepata di cozze con contorno di nutella. Ho lavorato fino all’ottavo mese e poi, con qualche tempo supplementare, mio figlio è nato tramite un pianificato parto cesareo. Sano. Non potrei essere più felice e grata per questa meraviglia che mi è stata concessa. Mi é andata bene anche dopo; Leo é sempre stato un bimbo abbastanza tranquillo, ha sempre dormito bene e di notte si svegliava una volta sola per fare rifornimento al suo personale pitstop e grazie ai turni con io marito e l’ausilio del latte in polvere, il mio ammanco di sonno risultava contenuto. Ergo: non mi sono mai assentata da lavoro per un eccessivo sonno diurno.

Ebbene sì, ho fatto una scelta audace e coraggiosa: ho deciso di diventare madre. Ho scelto di accogliere nel mio mondo un bambino, ma ho anche scelto di non smettere di lavorare. Che brutta persona! Forse l’unica cosa che non ho scelto proprio mia sponte, era quello di lavorare a tempo pieno mentre cambiavo pannolini, preparavo pappe e lavavo bavaglini. Sono una mamma semplice, una che si fa strada tra pannolini e riunioni, tra pappe e presentazioni… Ai tempi di pandemia. In tutto questo però, ammetto però che mi aspettavo una situazione diversa. Ingenuità? Forse! Sì, perché in fondo in fondo, sono abbastanza naive e „vintage“, tant’é vero che uso un notebook… Di carta.  Con la biro… Anche perché la penna d’oca e calamaio à la Silvio Pellico, mi sembrava un po’ iperbolico e non comodissimo da portarsi dietro. Questo per dire, che nella mia mente ferma ai racconti di Jane Austen (adoro) e nel mio cuore che batte per i vestiti regency, per il mio futuro abbastanza immediato avrei preferito due bambini, una grande casa accogliente, un giardino con lo steccato bianco, un cucciolo di golden retriever e la pace dei sensi. Eppure, nella grande ruota del destino, le cose hanno preso una piega diversa. Un po’ per mia scelta, o forse devo dire “mancanza di scelta”, un po’ perché non é che puoi essere figa e avere anche sto gran culo della vita perfetta! Quella può aspettare. 

Sono cresciuta in un ambito famigliare normale e non sono mai stata costretta in nessun modo a pensarla „vecchia maniera“. Nessuno mi ha mai inculcato il credo della famiglia „tradizionale“: fidanzata in casa, matrimonio, bambino 1 di genitore 1 e genitrice 2, poi bambino 2 e forse anche bambino 3, l’amante nell’armadio, e così via. Però, sentivo il desiderio di voler essere una mamma crescere dentro di me, e l’idea che una donna possa anche NON volere dei bambini non si é mai palesata… Mai, nemmeno nella mia modestissima anticamera del cervello. Eppure mi definisco uno spirito libero (seppur con i neuroni in un subbuglio perpetuo) E quindi mi ritrovo ad ammirare molto queste donne, perché, al contrario di me, sono veramente libere, donne che hanno ponderato bene anche l’altra opzione (che io non sapevo manco esistesse) e poi hanno fatto la oro scelta. Può stare bene o può stare anche male a tanta gente. Ma a te cara „gente“, non starà mai bene niente… „Non hai figli? E perché?“, „ Ne hai uno solo? E quando gli fate la sorellina/il fratellino?“, „Ne hai due/tre? Ma non avete una TV in casa?“ – La gente perde sempre, perennemente l’occasione per stare semplicemente zitta.

Mi pervade una grande serenità di fronte alle scelte altrui, soprattutto, quando queste scelte sono diverse dalle mie. Ma quant’é bella la libertà? Voltaire diceva: „Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo.“ Ed é per questo che non concepisco l’atteggiamento di certe persone, che prepotentemente si arroga il diritto di critica, considerandolo l’unica verità, dicendoti – nemmeno tanto velatamente – che le tue decisioni sono sbagliate, azzardate o imbranate.

Ma per ritornare a quella che secondo me é proprio la nemesi dell’amata fù Madre Teresa di Calcutta, provo a ripetermi in modalità soliloquio quello che mi ha appena vomitato addosso. Non é l’unica, purtroppo, ad avere questo tipo di bias nei confronti dei genitori che lavorano. Bias che si riferisce a un pregiudizio o a un trattamento negativo o sfavorevole rivolto verso le persone che sono genitori e allo stesso tempo lavorano e che può manifestarsi in vari modi, come giudizi negativi, discriminazione o stereotipi, che vedono noi mamme lavoratrici, fragili, umorali o addiritura sensibili al limite del patologico. A me, diciamo che é andata abbastanza bene: smart working, politiche interne di lavoro flessibili, programmi e contributi di assistenza per la cura dei bambini. Quindi me ne guardo bene dal lamentarmi. Ho anche mantenuto un discreto equilibrio mentale. Ero già allenata. So che sarebbe potuto andarmi di gran lunga peggio. O forse meglio… E chi lo può sapere… Non ho la pretesa che qualcuno debba „pagare“ per le mie scelte, ovvio, e nemmeno che si capiscano le mie ragioni. Ma siamo dotati anche di qualcosa che va oltre quello, che va oltre la logica, la ragione. E a me, sinceramente sale tanto il crimine quando ho a che fare con persone a cui non é stato conferito nemmeno il livello di „principiante“ nell’ambito dell’empatia… Come certi zelanti colleghi.

E comunque, per la cronaca, negli ultimi 30 anni le cose sono molto cambiate (ma va’?!): Se nel 1991 circa il 40% delle madri non aveva un lavoro retribuito, oggi solo una piccola percentuale di donne con figli – circa una su cinque – sono mamme a tempo pieno. È una fotografia dell’Ufficio federale di statistica. Sempre lo stesso Ufficio federale riferisce che la maggior parte delle donne, specialmente quelle con un’istruzione post-obbligatoria, ritorna al lavoro entro anno dal parto.

Noi ci siamo organizzati di conseguenza; Leo viene accudito al nido mentre io e mio marito lavoriamo. Non mi sento una mamma menomata per questo. Mio figlio é un bambino sereno, pasticcione (come la mamma), riflessivo (come il papà), socievole, buffo, con una parlantina scioccante (e a tratti stancante), anche perché trilingue. Ma soprattutto sano. Sotto ogni aspetto.

Quindi, a coloro che si ergono a giudici senza pietà, dico che il mio valore non dipende da ciò che pensate di me. Non avete il potere di farmi sentire inadeguata o di limitare le mie ambizioni. E se non siete in grado di comprendere l’enorme forza e la dedizione che dimostriamo ogni giorno come genitori e lavoratori, allora mi dispiace per voi. Perché la vostra mancanza di empatia vi rende poveri e limitati.

I diritti vanno sempre difesi, spiegati e rinnovati. La cultura attiva ha strati di conoscenza, e la conoscenza é potere personale e collettivo. È radice per il futuro. Dobbiamo dare tempo perché la pianta possa crescere… Esattamente come per i bambini.

2 thoughts on “non é un paese per mamme

  1. Il Mongolfiere says:

    Chiudi bene il tuo post, parlando di diritti. Forse dinanzi a questa semplice affermazione, non c’era bisogno di aggiungere altro: sono TUTTI tuoi diritti. L’organizzazione delle sostituzioni quando ti ammali, o si ammala tuo figlio, o viene la colite al cane… è dovere del datore di lavoro, mica tuo! Assurdo quel che ti ha detto la collega.
    ps quando la ginecologa la definì “primipara attempata” (a 34 anni, per la cronaca), mia moglie stava per metterle le mani addosso 😀

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    • thisiswhyimvanella says:

      Hahahahaha… Grande tua moglie. Avrebbe fatto bene! Io sciocco-basita quando me l’ha detto a me. Cioé, capisco che a 38 anni non sono più una donzella che vien dalla campagna, ma anche meno… Io gli ho detto che ho avuto da fare prima. Grazie per il tuo commento e buon proseguimento!

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